Un problema sentito

È ormai sotto l’occhio di tutti. Non esistono più periodi dell’anno in cui possiamo sentirci più tranquilli rispetto alle calamità naturali (ed escludiamo volontariamente, in questa sede, gli eventi sismici). Il nostro territorio è più fragile, rispetto agli anni passati, e su di esso si abbattono precipitazioni intense che il terreno non riesce ad assorbire. Il risultato è che l’88% dei comuni italiani (7.145 comuni con circa 7 milioni di abitanti – dati ISPRA) è a rischio frane o alluvioni.

Una possibile soluzione

L’utilizzo di nuove tecnologie per il monitoraggio di aree a rischio idrogeologico non è certo una novità. Nel corso degli anni lo sviluppo di sensori sempre più evoluti e di ridotte dimensioni ha permesso un miglior controllo di versanti e corsi d’acqua.
I droni si sono inseriti in questo contesto di evoluzione tecnologica con metodi innovativi per l’acquisizione e l’elaborazione del dato, sia per la prevenzione che durante la gestione dell’emergenza per la quantificazione dei danni e per mettere in sicurezza l’area colpita. Queste macchine volanti sono nate, infatti, per velocizzare il lavoro dei tecnici e permettere un ritorno più rapido alla normalità.

Velocità che fra l’altro permette di abbattere anche i costi. Sappiamo tutti che fare prevenzione adeguata è il modo migliore per evitare che questo tipo di catastrofi diventino sempre più frequenti. Ma la prevenzione è anche la fase che si tende più spesso a rimandare poiché è quella di cui è più difficile giustificare i costi: “perché spendere quando va tutto bene?
Salvo poi ritrovarci a chiederci ad evento avvenuto: “ma perché non si è fatto niente prima?” e renderci conto troppo tardi di quanto sia salato il conto da pagare.

I Comuni lamentano la scarsità di fondi per la prevenzione e la messa in sicurezza dei propri territori. Chissà, magari una conoscenza e un utilizzo adeguato di queste nuove tecnologie potrebbe essere una prima risposta.